Giannandrea Mencini
Giannandrea Mencini (1968), veneziano, giornalista e scrittore, è laureato in Storia a indirizzo contemporaneo e si occupa di storia dell’ambiente e del territorio. È responsabile della comunicazione per Thetis SpA e collabora con alcune testate giornalistiche. Ha pubblicato numerosi saggi, libri e articoli, dove ha raccontato i problemi della salvaguardia di Venezia e del vivere in montagna. È stato fra i curatori del primo Rapporto sullo stato dell'ambiente 2000 della Provincia di Venezia e dello Stato dell'ecosistema lagunare veneziano a cura del Magistrato alle Acque di Venezia (Marsilio, 2010). Ha ricevuto una menzione speciale nell'ambito della terza edizione del Premio Nazionale di ecologia Verde Ambiente per i suoi scritti sulle tematiche ambientali e di difesa del territorio. Bioavversità - Il vizio delle monocolture nelle terre alte Pubblicata nel 2023, l’opera è un'inchiesta sull'agricoltura intensiva delle monocolture. Lo scrittore percorre varie strade d’Italia, in particolare nelle regioni di montagna, per esplorare la perdita di biodiversità a causa del diffondersi delle colture intensive. Parlando con i protagonisti ha indagato sulla espansione del Prosecco nel nordest, dei meleti in Val di Non e dei noccioleti nel Centro Italia, riportando molte prove degli effetti negativi sull’ambiente, sulla salute e sulla biodiversità, causate dalle monocolture. Oltre a questo impatto sulla natura, infatti, sempre più le monocolture favoriscono la diffusione di insetti infestanti e malattie fungine. Una delle realtà esplorate da Giannandrea Mencini, è stata la BIOmaggiore di Tuenetto della quale racconta la genesi e le problematiche che si trova ad affrontare nel complesso mondo agricolo noneso. Riportiamo il passo del libro riguardante l’esperienza della BIOmaggiore: […] come prima tappa del mio viaggio, raggiungo il paese di Tuenetto nella media-bassa Val di Non, dove esiste la prima esperienza di isola biologica, BIOmaggiore: si tratta di una società agricola semplice, che coinvolge un’intera comunità di paese intorno a un progetto molto importante e interessante per l’agricoltura non solo di Tuenetto, ma dell’intera Val di Non. Il nome è mutuato dal sito minerario Rio Maggiore che ospita proprio le celle ipogee della Melinda sfruttate per la conservazione delle mele e il cui ingresso è situato nel territorio di Tuenetto. A fare gli onori di casa c’è Ezio Melchiori, agricoltore biologico. Mi riceve nella sua bella casa affacciata sui campi di mele biologiche, dove assaggio una buonissima torta e bevo del buon succo di mele. Ezio, dopo avermi fatto capire la sensibilità della sua famiglia verso i temi della sostenibilità ambientale, sottolinea subito che tutti i ragionamenti «devono partire dal fatto che c’è purtroppo un disinteresse per la salute e l’ambiente. Se tu fai capire che vuoi cambiare il modo di fare agricoltura… ti rispondono solo che l’importante è fare quadrare i conti. Nel 2017 siamo partiti tutti insieme in paese a convertire in biologico mettendo insieme 25, 30 agricoltori. Tutta la zona è biologica. Siamo però inseriti in un sistema intensivo di produzione di mele. Gli impianti che c’erano prima sono rimasti, ma sono cambiati in biologico e per noi è stato un punto di partenza importante. Ma non è facile. Il problema poi è che i contadini sono vecchiotti e ci sono pochi giovani interessati a continuare. Esiste inoltre una realtà di part-time, tanti hanno anche un altro lavoro oltre alla campagna. Ecco, quindi, che è più facile lavorare l’integrato in quanto il biologico è più impegnativo. Stanotte, se piove ― come è probabile ― dobbiamo andare nei campi, i trattamenti devono essere tempestivi per chi fa biologico. Non hai prodotti chimici che ti possono aiutare, da mettere prima della pioggia. Certo abbiamo qualcosa, tuttavia il rame non si può dare sulla varietà Golden che è la varietà regina qui. Abbiamo quindi una serie di problematiche». Colgo un po’ di sconsolatezza nelle parole di Melchiori, il quale evidenzia che «sicuramente è più comodo restare nell'integrato anche perché poi c’è la schiavitù del reddito: tu devi produrre sempre di più allora devi mettere ancora più piante, i terreni sono molto ripidi ma si mette comunque tutto a coltivare, e ti verrebbe da dire: siete matti! Io ho una piccola azienda di tre ettari che è già una azienda grossa in Val di Non. Altre aziende sono più piccole, superano di poco un ettaro. Una volta c’erano i “franchi” noi li chiamavamo così, erano piante grandi, non era agricoltura intensiva, addirittura si tagliava l’erba per le mucche, qui c’erano stalle, poi appena hanno preso piede i frutteti di mele è morto tutto. Si è iniziato a fare i soldi, si sono abbandonate le stalle e si è persa quella biodiversità che c’era, una volta si aveva il campo, il maiale, si autoproduceva. Poi sono arrivate le mele, hanno dato reddito e si è avviato il tutto: prima c’erano dei magazzini piccoli nei paesi, poi sono sorte le cooperative e si sono fatti dei magazzini più grandi, poi anche questi non erano più sufficienti e si è creata la Melinda che gestiva tutti i magazzini. Seppur in un ambiente montano e rurale, ritengo che questa produzione la possiamo definire intensiva e industriale. Venendo qui da noi avrai visto i muri fatti di enormi ceste, i “bins”, i cassoni che noi usiamo per mettere le mele. Sono tantissimi. Raccolgono tutte le produzioni della valle. Ora siamo in fioritura essendo aprile, la raccolta inizia con la Gala che è una delle varietà più precoci, verso la metà di agosto. Poi si va avanti fino alla Fuji che è raccolta all’inizio di ottobre. Tutti, a parte pochi privati, fanno parte della Melinda». Quindi la Melinda ha accettato di avviare un processo seppur limitato di conversione al biologico? «Il progetto di Melinda sul biologico è partito così: quando abbiamo fatto l’isola biologica siamo andati a batter i pugni da Melinda, che all’inizio ha cercato di fermarci. Noi eravamo 25, 26 coltivatori e volevamo conferire alla Melinda, ma all’inizio non ci aiutava». Però nel sito web di Melinda si parla di biologico che aumenta in ettari, è corretto? «Sì certo, hanno convertito in parte, ma quello che manca alla Melinda è il crederci ed essere vicini a chi fa questa scelta: questo è il grande problema che abbiamo. Loro ci assistono, ci hanno dato 10.000 euro di contributo a ettaro sulla conversione, che è servito in quanto la conversione è una fase difficile perché devi fare lotta biologica a tutti gli effetti, ma la produzione non può essere venduta come biologica, hai quindi un deprezzamento non indifferente e noi abbiamo avuto due annate con problemi; se non ci fosse stato l’aiuto da parte di Melinda, difficilmente saremmo riusciti a creare una zona così ampia di biologico. Il problema è che loro ti dicono “vi abbiamo aiutati economicamente”, e va bene, ma non basta: bisogna esserci anche dopo, perché la lotta biologica è difficile. La Melinda ti deve supportare e spingere ad andare in quella direzione, ti deve aiutare e far sentire che è presente, ma se ti abbandona… non tutti entrano nel biologico. Per intenderci, una parte, pur di affrontare le tematiche ambientali, era convinta della scelta, ma altri meno e si sono fatti ingolosire dal motivo economico, ma io ho sempre detto: il biologico non lo facciamo per i soldi ma per l’ambiente altrimenti conviene rimanere nell’integrato. Qui Melinda ci deve essere e la battaglia sui pesticidi è ancora attuale». Proprio prendendo spunto da quest’ultima affermazione, prima di uscire con Ezio e fare un giro fra i suoi meleti intorno al paese, chiedo un suo parere in merito ai contrasti sociali sull’uso dei pesticidi in Val di Non. Ezio ci pensa un attimo e poi mi dice: «Qui si è creata una guerra fra chi è contadino e chi non è contadino. Ma non ha senso. Come si fa a negare che in una valle come questa che è una scodella, con tutti i pesticidi che vengono erogati ― anche se adesso li chiamano fitofarmaci per renderli più passabili ― non ci sia un effetto sull’ambiente? Anche un bambino lo capisce. La cosa si sa, poi si possono tenere nascoste le analisi nei cassetti, ma prima o poi il problema lo devi affrontare. Ora qui da noi in valle si è quasi creata una guerra tra chi fa il biologico e chi fa integrato: ma che senso ha? Capisco che bisogna salvare un reddito, non lo metto in dubbio, ma qui siamo andati un po’ oltre. Non solo non si può negare che il problema esiste, ma non c’è nemmeno volontà di affrontarlo. Di fondo c’è questo: voler nascondere la realtà, e non vedo grandi spiragli in Melinda. La maggior parte della sua produzione è integrata. Siamo passati dagli anni ’60 con la lotta guidata alla lotta integrata, ma se tu vai a vedere cosa si prevede per la lotta integrata vedrai comunque che tu, in teoria, utilizzi un determinato prodotto di sintesi solo se ne hai la necessità ma, nella realtà, lo fai spesso. Il biologico è cresciuto in Melinda da quando abbiamo fatto l’isola del biologico a Tuenetto, questo progetto lo abbiamo voluto noi con forza. Altrimenti la Melinda di biologico ne aveva pochissimo…». Con Ezio facciamo un giro su alcuni terreni dove coltiva le mele e mi fa notare come tra i filari ci sia erba, vegetazione, un suolo naturale e ricco di fiori, difficile da rilevare laddove si usano diserbanti e quindi non si fa biologico. Poi, lasciati i meleti, scendiamo verso la statale che attraversa la vallata, in direzione di un grande fabbricato circondato da muri di “bins” pronti a raccogliere le mele. Ezio mi porta a visitare Mondo Melinda, il grande negozio molto frequentato dove si possono trovare tutti i prodotti della Melinda. Di fronte all’edificio si trova il Golden Theatre, un edificio, in realtà uno spazio multimediale, che all’interno accompagna i visitatori in un viaggio avveniristico al centro delle celle ipogee. Una esplorazione virtuale coinvolgente che dura circa 10 minuti e che permette alla Melinda di presentare cosa si cela dentro la montagna, ovvero un frigorifero naturale per le mele come già ricordato, e di raccontare anche tutta la filiera di raccolta e conservazione delle mele in questa bella vallata. Dal punto di vista comunicativo e pubblicitario, lo dico sinceramente, mi sembra fatto tutto molto bene. Infine, Ezio mi fa salire sulla sua macchina e da Tuenetto attraverso stradine secondarie, alcune anche sterrate e strette, attraversiamo una serie di pendii assai ripidi dove qualsiasi metro di terreno è coperto di impianti di meleti. La cosa è davvero evidente e fa riflettere ricordando quanto mi ha raccontato prima Ezio. Alla fine, dopo un ripida salita attraverso una stretta stradina, arriviamo in un’area meno pendente con una vista magnifica sul maestoso castello di Thun. Un piccolo regalo di Ezio. Immerso nei meleti, il castello fu la dimora di una delle più potenti famiglie feudali della regione. Visto da fuori, mi colpisce ovviamente la posizione molto panoramica verso l’intera valle, ma pure le fortificazioni che lo circondano formate da torri, bastioni, mura e fossato. Davvero severo e bellissimo. Dopo questa gradita sorpresa, rientriamo a Tuenetto, si è fatto tardi, le nuvole promettono pioggia ed Ezio sa già che la notte la passerà in buona parte sui campi. Ci salutiamo con un abbraccio sincero e rientro anch’io… Libri di Giannandrea Mencini: • Vivere in pendenza (Supernova Edizioni, 2019); • Pascoli di carta (Kellermann) 2021; • Bioavversità (Kellermann) 2023;