La Società Anonima Bresciana Cave Combustibili ― La Società mineralogica costituitasi a Brescia in ordine al progetto del 28 luglio 1864 definita provvisoriamente «Società Carbonifera di Mezzolombardo», venne istituita con Decreto del Re d’Italia Vittorio Emanuele II il 20 agosto 1867 con la denominazione sociale di «Società Anonima Bresciana Cave Combustibili Fossili, Schisti bituminosi, ed Olii della Lombardia, della Venezia e del Tirolo». La società stabilì la sua sede principale in Brescia e il suo scopo, come si legge nello statuto, “è la coltivazione ed utilizzazione delle cave di carbon fossile, di lignite, di torba ed altri combustibili fossili, degli schisti bituminosi e di tutti i giacimenti oleiferi”. La ditta, rappresentata dal ragionier Giacomo Cattaneo, essendo italiana e quindi straniera per la Monarchia austro-ungarica, dovette dichiare di uniformarsi alle leggi generali montanistiche del Tirolo. L'Autorità montanistica era l'organo che rilasciava le concessioni minerarie e che esercitava ogni controllo sopra di esse; tra le norme della Legge vi era quelle che prevedeva che il possessore di miniere, il quale non dimorava nel Distretto in cui sorgevano (e a maggior ragione se era straniero), era obbligato a nominare un rappresentante dimorante nel distretto. È così che il 15 marzo 1870, attraverso la Commissione Amministratrice della Società, nominò il Signor Melchiori Felice di Giovanni Antonio di Tuenetto rappresentante della società "negli imperiali regi stati Austro Ungarici” in ogni e qualunque evenienza. In particolare gli conferì la facoltà di sorvegliare l’andamento dei lavori delle Miniere di assumere o dimettere lavoratori, di tenere i registri delle entrate e delle uscite, di acquistare e vendere cose mobili ed immobili stabilendone i prezzi per conto dell’azienda. L’azienda elesse il proprio domicilio nell’Impero Austro-ungarico presso l’abitazione di Melchiori Felice al civico numero 15 di Tuenetto. L’impresa bresciana, che a quel tempo produceva petrolio per illuminazione, ebbe vita breve e soltanto tre anni dopo, nel 1874, cessò l’attività “per mancanza di mezzi onde arrivare allo scopo che si era prefissa” come risulta dall’avviso del 23 settembre 1870 della commissione liquidatrice pubblicato in un giornale locale di Brescia. Sulla causa vera che determinò l’interruzione dell’impresa lombarda, nulla di più si è potuto conoscere. A proposito del progetto di sfruttamento della Società Anonima Bresciana, nell'edizione 1913 di Strenna Trentina a pag.70 si legge:
«Vicino a Tuenetto il torrente [Panaròta], scorre in un burrone che si risolve poi in una valle che va sempre più allargandosi e sbocca giù a mezzodì in quella ove scorre la Pongaiola che porta, come si è detto, il suo tributo al Noce. In vicinanza del burrone c’è un luogo argilloso, paludoso, coperto da cannucce. Il materiale che vi si scava, in forma di piastre nere, è tutto composto di una sostanza melmosa che emana un leggero puzzo di petrolio, e, accesa, arde. Perciò gli abitanti di Tuenetto, credendo giustamente che questo dovesse essere un luogo petrolifero, chiamarono, molti anni orsono, una compagnia italiana, che cominciò a far scavare dei pozzi e delle gallerie, ma senza successo sodisfacente. Gl’ingegneri, esaminata più minutamente la cosa, conchiusero che, per trovare i depositi ricchi di petrolio, bisognava scavare dei pozzi, che arrivassero fino al livello del Noce. La compagnia allora scoraggiata levò le tende e gli abitanti dei paesi vicini, che credevano d’aver scoperto l’America, rimasero delusi.»
Il professor Iginio Conci, annota nei suoi appunti che a dirigere i lavori minerari per conto della società bresciana fu l’ingegner Roberto Mackenzie che alloggiò a Mollaro presso la sua casa avita e che “verso il 1890 il contabile cassiere dell’impresa fuggì con la cassa, e la ditta andò in fallimento”.
La Società Anauniese Miniera san Romedio ― L'utilizzazione della miniera fu ripresa nel 1912 ad opera della «Società Anauniense Miniera san Romedio» con sede in Taio, rappresentata dall'Ingegner Edoardo Oberosler, che incaricò alcuni esperti di studiarne l’impiego. La concessione governativa comprendeva tutta la sponda sinistra del Noce dalla Rocchetta fino alla Valle di San Romedio (da qui il nome di Miniera san Romedio), che ha una superficie di circa 2.000 ettari.
Lo sfruttamento vero e proprio iniziò nel 1914: il 18 maggio Edoardo Oberosler informò il Comune di Tuenetto che la società da lui rappresentata legalmente “…sta facendo i passi per la costituzione di una nuova società per lo sfruttamento della Miniera”. Prima di intraprendere l’attività industriale (che consisteva nell'estrazione di olii minerali dagli schisti) la «Miniera san Romedio» si premurò di conoscere le eventuali spese, in particolare per l’occupazione del suolo, che era di proprietà comunale, ove si sarebbe edificato lo stabilimento e l’ammontare della sovraimposta comunale. Il Comune di Tuenetto, con una delibera contenente “ridotti emendamenti" in data 19 maggio 1914, accordò «...alla Società Anauniese «Miniera San Romedio» l’uso del suolo designato per l’impianto rispettivamente per la costruzione del fabbricato industriale colla necessaria limitata adiacenza nella particella fondiaria 643 di proprietà del Comune di Tuenetto, e parimenti l’uso del piazzale già attualmente dalla stessa società occupato nella particella fond. 644 [...]. Il definitivo collaudo della distilleria fu effettuato dall’apposito commissorio sabato 30 gennaio 1915 ad ore 9 antimeridiane». Il 14 settembre dello stesso anno un'apposita commissione eseguì un ulteriore sopralluogo sui terreni interessati dalla scoperta del giacimento di schisti bituminosi e il 3 marzo 1915 il Capitano montanistico dottor Canaval rilasciò la concessione sui campi minerari "Emilia" e "Maria" agli imprenditori Ugo Hofer negoziante in Innbruck, Edoardo Job ingegnere in Innsbruck, Edoardo Oberosler costruttore tecnico in Taio e Felice Widman impresario in Mollaro. (Quest'ultimo perirà tragicamente il 21 agosto 1918 in un incidente stradale a Mollaro). (Vedi)
Allo scoppio del primo conflitto mondiale l’autorità militare austriaca, giacché il petrolio e i suoi affini erano divenuti merce rara e preziosa, condusse la miniera per conto proprio. La produzione si limitò a ricavare olio greggio per la cura delle malattie della pelle dei muli e dei cavalli dell’esercito. Finita la guerra, della gestione della «Miniera san Romedio» si hanno poche notizie; furono aperte intorno al 1919 le gallerie sul Cirò. Lo scisto veniva estratto mediante compressori ad aria, il materiale era poi trasportato su carrelli fino al piano inclinato (funicolare) che lo portava al frantoio. Una volta frantumato, il prodotto passava nei forni dove attraverso un complesso processo chimico si estraevano gli olii base per la preparazione delle specialità farmaceutiche. L'attività della Miniera, continuò così per alcuni anni pur fra alterne difficoltà finanziarie. Il 18 marzo 1927 si costituì la Società Anonima Miniera di San Romedio con sede a Milano (rogito del notaio Guasti Federico) e col capitale di Lire 1.000.000 in azioni da lire 100. Successive assemblee aumentarono e svalutarono il capitale sociale portandolo dapprima a 4.000.000 e poi a 800.000. L'assemblea del 28 marzo 1930 trasferì la sede da Milano a Trento. Nel 1934 la società era così strutturata: sede sociale a Trento, amministrazione a Mollaro, sindaci erano Bazzani ing. Gaetano, Gaggia prof. Simone e Mengonoi dott. Antonio; le azioni valevano lire 20 cadauna e il riparto degli utili era così diviso: 5% alla riserva, il 10% all'amministratore il restante 85% alle azioni; l'attività era catalogata come "Miniera di scisti bitumoinosi"; l'amministratore unico era Scavini rag. Valerio che alloggiò anche a Tuenetto. Gli utili al 31 dicembre 1933 ammontavano a Lire 274.531.
Durante gli anni tra le due guerre la Miniera rappresentò un’importante risorsa dal punto di vista occupazionale (la maggior parte dei minatori proveniva dalla Pieve di Torra; stimati e ben voluti capi cantiere furono Edoardo Coletti detto «Lallo» e Mario Chini «Colodét») entrambi di Torra. Oltre alla produzione farmaceutica si fabbricava un’ittiobenzina, sostanza ottenuta per rettificazione dall’ittiolo, impiegata come denaturante dell’alcol. La Miniera san Romedio era considerata un importante complesso industriale che però difettava nella dotazione di maggiori impianti per potere competere sul mercato. Nel frattempo si scoprì che dalle scorie delle lavorazioni si poteva ricavare un’ottima calce idraulica. Qui è utile ricordare che il prodotto di scarto prima del suo riutilizzo per l’ottenimento della calce, veniva riversato nel Rio Tuenetto e formando il piano sopra il quale oggi poggia la strada provinciale 13 della Predaia che in precedenza passava attraverso lo stabilimento.
Da questa fotografia degli anni '30 si vede bene la morfologia del terreno; in particolare si noti che la strada per Vervò attraversava il complesso industriale
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, l’Istituto Nazionale per le Ricerche, finanziò varie trivellazioni nel circondario dello stabilimento allo scopo di ricercare il petrolio, materia prima di importanza strategica. Le ricerche diedero esito negativo e intanto si costruirono nuovi forni. Nell’ottobre del 1943 la Miniera fu dichiarata dall’autorità dell’«Alpenvorland» azienda protetta e militarizzata e le maestranze erano esenti dal richiamo alle armi. In quegli anni vennero costruiti gli impianti per la distillazione dell’olio grezzo per la produzione di benzina che veniva ceduta alla Wehrmacht. Intorno al 1950 lo stabilimento passò alla famiglia del bergamasco Mario (?) Moretti il cui figlio Giammario era capo cantiere. All’epoca, abbandonata la produzione di olii minerali, si produceva soltanto calce idraulica e con la fase della ricostruzione dopo il disastro della guerra, il fabbisogno di calce diventò sempre più pressante e per poter ricavare il minerale occorrente, le autorità competenti autorizzarono lo scavo a cielo aperto sul Cirò. La cava fu aperta su un terreno dell’uso civico di Mollaro. Lo “spettacolo” della collina sventrata era ben visibile fino alla fine degli anni ’80 quando il rimboschimento spontaneo lo celò parzialmente. Verso i primi anni ’70 del ‘900 la Miniera san Romedio passò nelle mani dell’impresa bolzanina S.I.C.A.R. di Valenti che continuò la produzione di calce idraulica e intraprese la produzione e la confezione di intonaci premiscelati. Capo cantiere in quegli anni era il signor Giulio Zeni di Mezzocorona che risiedeva con la famiglia presso lo stabilimento. Pur proseguendo nell’attività, in questi anni cominciò un lento declino della società; le commesse si ridussero e il personale diventò sempre meno numeroso. Trascorso qualche anno incerto l’azienda fu acquistata dallo storico marchio noneso Tassullo S.p.A.
Tassullo S.p.A. e Gruppo Miniera san Romedio ― La Miniera san Romedio venne dunque acquistata verso gli anni ‘90 da Tassullo S.p.A che, oltre alla calce, rilanciò la produzione di malte pronte per intonaci. Dopo anni di relativa salute aziendale, a causa di sfavorevoli difficoltà di mercato, la Tassullo S.p.A. fallì e nel 2018 fu acquistata da una cordata di imprenditori locali a far da capofila Covi Costruzioni. Questo gruppo di investitori si aggiudicò il pacchetto azionario dopo una gara pubblica d’appalto con un’offerta di 5 milioni e 945 mila euro. L’operazione includeva l’acquisizione degli stabilimenti di Tassullo e di Tuenetto, le cave di Pozzelonghe e Bouzen a Vervò oltre che ai contratti con i dipendenti rimasti nella Tassullo Materiali. La storia di oggi vede una nuova denominazione «Gruppo Miniera san Romedio» che produce materiali per l’edilizia, restauro e recupero dell’edilizia di pregio.
La Miniera san Romedio negli anni 20'
La Miniera e sullo sfondo il paese di Mollaro
La Miniera e Tuenetto in cartolina
I carrelli su rotaia trasportavano il materiale dal Cirò allo stabilimento a valle
1970 - Giulio Zeni capocantiere della Miniera san Romedio con alcuni operai
Franco Zeni e Paolo Valenti proprietario della Miniera san Romedio negli anni '70
La Miniera san Romedio oggi