I nomignoli dei paesi di Predaia

Tutti i paesi della Valle sono catalogati con uno o più appellativi più o meno coloriti. Si tratta di un'usanza assai antica, più che altro vivissima nel passato che non ai giorni nostri, ma però anche se con meno calore ancora discretamente praticata. I nomignoli sono stati appioppati in base alle abitudini, ai pregi o difetti, veri o presunti, degli abitanti di un determinato villaggio; buona parte di essi nasce dallo spirito di campanilismo che anima da sempre i rapporti tra i paesi.

Oltre al celebre motto spiritoso Nònesi e solandri: libera non Domine!, molti anni fa gli abitanti della Val di Non erano soprannominati MAGNAFILARI:

«I nonesi mandano molti ragazzi agli studi; parecchi di essi ― in tempi andati ― divenivano sacerdoti. È naturale che, per la spesa, qualche genitore abbia dovuto svendere poderi. La cosa non deve esser parsa molto prudente e simpatica a gente d'altre vallate e, forse, una punta d'anticlericalismo accentuò il soprannome».
Pasqua Carolina Clementi in Studi Trentini di Scienze storiche (Anno 1936 p. 181 e segg.)



Coredo

In virtù di antiche storielle, quelli di Coredo sono detti «MAGNAGNÒCI» (o semplicemente «GNÒCI»); vi sono diverse spiegazioni sull’origine di questo soprannome. La prima narra di un coredano un pò semplicione che si recò in un paese dell’alta valle il giovedì grasso per chiedere la mano di una fanciulla. Quelli del posto, a sua insaputa, sfregarono sotto la coda di un asino un piatto di gnocchi e glielo offrirono e questi se lo gustò senza sospettar di nulla, provocando le risate della piazza. Da quel giorno fu “el gnòc’ da Còret” tramandando il nomignolo all’intero paese.
Una seconda versione racconta che durante le frequenti liti per i diritti di legnatico tra Taio e Coredo, durante una di queste quelli di Taio presero un coredano e per disprezzo lo rimpinzarono di gnocchi dando il soprannome di “Magnagnòci” a tutto il paese.
In un interessante articolo apparso sul mensile Il Melo (febbraio 2022 n. 091), sull'origine del soprannome, viene data la seguente versione: in occasione della divisione della montagna tra Coredo, Smarano e Sfruz, la delegazione coredana si assicurò la parte meno favorevole e priva di strade e per questo al rientro in paese fu contestata dalla popolazione che accusò i delegati di essere incapaci appioppando loro il nomignolo di "Gnòci". Un'ulteriore ipotesi viene fornita dal libro "La nuova chiesa di Coredo" di Luigi Rizzardi che attribuisce il soprannome al fatto che a Coredo era viva la tradizione di cucinare gli gnocchi il giovedì grasso.
Allo stesso modo sono soprannominati quelli di Casez.

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Dardine

Gli abitanti di Dardine portano il nomignolo di «MÀRDENI» ovvero martore, quasi certamente per l’assonanza col nome del villaggio (nei documenti più antichi Dardine è indicato con Villa Àrdeni). Un proverbio noneso assai noto dice:

Vic’, Toss e Dàrden,
tut en bócia al màrden!

dove "màrden" è da intendersi il signore di Thun del vicino castello. Oggi però il soprannome più usato per gli abitanti di Dardine è «RANE» a causa della paludosità di una parte delle sue campagne più vicine all'abitato.
A Dardine esisteva un tempo un laghetto che fu prosciugato dal conte Matteo Thun1.

1P.C.Clementi in - Studi Trentini di scienze storiche - 1936 p. 190




Dermulo

Il paese di Dermulo ospita le «ZÓRLE» ovvero i maggiolini, gli insetti coleotteri che sfarfallano a maggio e divorano le gemme di molte piante causando gravi danni; Paolo Inama, curatore del sito www.dermulo.it, dà una spiegazione per tale soprannome; e cioè perché la festa patronale del paese in onore ai santi Filippo e Giacomo ricorre il 3 maggio e si sa che le zorle imperversano proprio in quel mese.

Cfr P.C. Clementi, Studi Trentini, Anno 1936 – pag.186, anche se con una imprecisione scrive:
«La festa del patrono cade il 1° maggio [in realtà 3 maggio] mese dei maggiolini e, in passato, col 1° maggio molti giovani si recavano in servizio altrove. Il nome dialettale «zórle» vuol dire appunto maggiolini».

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Mollaro

Quelli di Mollaro condividono con la villa solandra di Cusiano l’appellativo di «SIÓRI» (o Siorati) forse per la sua posizione particolarmente comoda e piana; il soprannome è però affiancato da un secondo e cioè «MAGNAMÒSE» (o Mòse). Magnamòsa nella lingua nonesa significa melenso, scioccone; c’è da dire che qui - a parer nostro - è nel senso di poveri contadini consumatori di mòsa, uno dei cibi più miseri a base di farina di granoturco1.
Per la precisione quelli che risiedono nelle vicinanze della chiesa ― quartiere detto Parìzi (Parigi) ― sono detti i “Sióri” e quelli che stanno nei paraggi del Castello ― il rione chiamato Chèta2 ― sono i “Magnamòsa”.
Una filastrocca recita:

Magnamòsa da Molàr,
magnamòsa col cuzzàr,
la metén en l’armaròt,
la magnàn en pòc’ al bòt!


Magnamòsa sono anche a Denno e a Sanzeno.

1Cfr. E.Quaresima, Vocabolario Anaunico e Solandro – pag. 274;
2Forse, ma non se ne comprende il nesso, da Quetta il piccolo villaggio della bassa val di Non frazione del comune di Campodenno.




Priò

Priò in passato doveva avere un aspetto talmente dimesso e sudicio da suggerire il soprannome di «RUGIANTI», ovvero maiali, ai suoi abitanti. Questa l'impietosa spiegazione del soprannome che dà P.C. Clementi nello studio citato. L'epiteto è senza dubbio disonorante, ma si sa che alla base di questa usanza di soprannominare i villaggi c'è un'abbondante dose di umorismo oltre che di campanilismo.

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Segno

Segno è patria dei Chini che i buontemponi d'un tempo hanno fatto diventare «CIAGNI»1; l’epiteto è condiviso con Cagnò, quest’ultimo per l’evidente corrispondenza con il nome del villaggio. Il cane ha quella caratteristica non proprio pudica di mostrare i genitali e da questo si intuiscono i commenti di scherno di cui sono oggetto quelli di Segno.
Per via del nome che richiama la celebre razza canina, sono soprannominati Ciagni anche a San Bernardo di Rabbi.
1Cfr. P.C. Clementi, Studi Trentini, Anno 1936 – pag.186 - Il cognome predominante era e probabilmente è anche oggi, CHINI. Stiracchiandolo lo hanno fatto derivare da ciagn e da questo il soprannome.




Sfruz

Come tutti sanno, a motivo di arcani disegni politici, Sfruz non è parte di Predaia e tuttavia non è possibile estromettere da questa lista il gradevole paese delle stufe ad olle e delle patate.
Quelli di Sfruz si fregiano del titolo di «MAGNAMÒRTI» la cui storia spiegativa è ignota, in ogni modo in noneso l’epiteto si rivolge ai buoni a nulla o agli sciocconi; in valle sono detti anche «LECIABUSI» e a questo proposito si racconta che una volta quelli di Sfruz si siano appropriati del miele di un intero alveare leccandone perfino i “busi” (le arnie).
Altra teoria assegna agli abitanti di Sfruz il soprannome di «LECIABUSE» (al femminile e non «LECIABUSI»): e ciò dal fatto che quando era in auge l'industria delle stufe nella frazione, gli abitanti del paese solevano scavare la preziosa materia prima per le formelle facendo delle buche nel terreno e curvandosi in esse col piccone pareva quasi che le "leccassero".

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Smarano

Smarano è il paese dei «BUÒI»: sono così bollati sottendendo un leggero umorismo in quanto nel linguaggio figurato con questa parola si indica la persona pigra o inoperosa o comunque è associata ad una certa lentezza.

Una curiosità: nella parlata di Smarano la parola «buoi» [plurale di bue] si esprime esattamente come in italiano, “buòi”. Nella grande ricchezza delle parlate dei villaggi nonesi, la parola è pronunciata nei seguenti modi: “böi" nella bassa valle, "buèi" a Tres, Vervò e terza sponda, "bòi" nella media valle, "bói” a Tuenno e Quattro Ville; a Smarano, Coredo e Sfruz, come detto “buòi".




Taio

Quelli di Taio sono etichettati «FORBESÉTE» per via del nome del paese che evoca la parola “taglio” (Taio potrebbe significare "luogo dove fu tagliato il bosco"1). Il soprannome viene spiegato anche in senso spregiativo e cioè di “maldicenti”, che tagliano i panni addosso al prossimo; a Taio sono detti anche «SCURIÉTI» per via della fiorente industria della lavorazione dei manici da frusta per la quale ancor'oggi è famosa; un altro epiteto per quelli di Taio è stato in passato «FORMIGHÉTE» alludendo alla loro presunta caratteristica di risparmiatori.

1Cfr. E.Lorenzi - Dizionario Toponomastico Tridentino - p. 873

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Tavon

Tavon condivide con Torra il soprannome di «PÈPE» o «PINZÒTI» cioè diminutivo di pinza, specie di pizza azzima cotta sotto la cenere. Sono così soprannominati perché incapaci di fare un pane più di qualità, sottintendendo l’inettitudine dei tavonatti, ma esistono diversi pareri su questa interpretazione.
Un ritornello in forma di botta e risposta tra quelli di Tavon e i Coredani è il seguente:

Pèpe da Taón,
una per gialón,
una per culata,
la pèpa meza mata!

Còredo bel Còredo,
cì vuèl na puta mata,
a Còredo che él vada!


Torra

Agli abitanti di Torra detti «PINZÒTI o PÈPE» (anche Pepari), a significare che non sanno fare il pane, come detto per quelli di Tavon. Ma a quelli di Torra è affibbiato un altro nomignolo e cioè «BÓRE», ossia i tronchi d’albero, facendo la similitudine tra l’immobilità dei tronchi e la supposta inerzia di quelli di Torra. Forse l’utilizzo di questo nomignolo si spiega con l’assonanza “Tóra / bóra”; al proposito nella Pieve circola la filastrocca:

Tóra bóra fil de fèr,
che farénte mai st’invèrn,
taieren la bóra ‘n zòci,
spacherén la testa ‘n tòci!

parafrasando il primo verso della filastrocca "Mare pare fil de fèr... "

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Tres

Tres è il paese dei «GRÒI» nomignolo molto diffuso in tutto il Trentino; gròl in dialetto vuol dire corvo.
Divertente la spiegazione che leggo sul numero di febbraio 2022 de «Il Melo» relativamente all’appellativo di Gròi da Tres: quando in tempi passati, in occasione di sagre o fiere, i tresaineri scendevano a valle negli altri villaggi parevano sclapi de gròi (stormi di corvi).
Nelle valli del Noce sono davvero molti i paesi che hanno questo appellativo: Monclassico, Samoclevo, Comasine, Deggiano, Revò, Lanza, Ronzone, Don, Flavon, Campodenno e Toss.
Quelli di Tres erano appellati in passato anche col nomignolo di «SGERLATI» che sono gli scoiattoli.



Tuenetto

A Tuenetto portano il soprannome di «CIABIE», ovvero cassette, gabbie, che ha in comune con Malosco. Qualcuno crede di poter interpretare questo soprannome nel fatto che a Tuenetto era presente negli anni sessanta una fiorente industria per la produzione di imballaggi per la frutta chiamati appunto ciabie; tuttavia l’appellativo era usato anche prima di tale epoca il che smentisce questa ipotesi e si suppone che il soprannome voglia riferirsi al fatto che quelli di Tuenetto sono propensi ad "ingabbiare" i foresti.
Ma quelli di Tuenetto, in un più lontano passato, erano detti «MULI» animale frutto dell'incrocio tra asino e cavalla. L'epiteto, se si riferisce al fatto che il mulo maschio è sempre sterile (non in grado di generare), è piuttosto oltraggioso, ma il mulo è tradizionalmente ritenuto testardo e questa è la peculiarità che decisamente parrebbe più consona allo spirito che sta dietro ai nomignoli.

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Vervò

Vervò è il paese che si fregia dell’attributo di «SPADAZINI» (nel senso di litiganti) ed è il più antico soprannome dei vervòdi.
Attualmente sono chiamati più prosaicamente «ÀSNI», ossia asini. Una versione che spiega il motivo di tale appellativo la trovo ancora su «Il Melo»: Vervò nel passato forniva di argilla gli artigiani delle stufe a olle di Sfruz. Il mezzo di trasporto erano gli asini e quando le carovane con la creta entravano in Sfruz erano accolti con il commento: Varda che vèn i àsni da Vervò, fatalmente i àsni furono da allora i vervòdi stessi.



Vion

Vion ha i «TÓZI»; nella parlata popolare la parola tòz con la "ò" aperta significa cazzotto, ma poiché il soprannome di Vion è Tózi con la "ó" chiusa forse non è in quel senso la corretta interpretazione; tra i modi di dire nonesi c’è Tegnìr tònz ovvero tener testa, ma è difficile collegare la locuzione col nostro epiteto. Istintivamente viene da associare il termine al significato di testoni, nel senso di teste dure oppure di scarsa intelligenza, questa è la spiegazione raccolta dalle persone di una certa età.

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Fonti:
E.Quaresima - Vocabolario anaunico e solandro - p.252
P.C.Clementi - Studi Trentini di Scienze Storiche, 1936 - p.181
Tiber - Strenna Trentina, 1938 - p.125
Il Melo, febbraio 2022 - ottobre 2022