Don Giovanni Fronchetti da Torra (1863-1927)

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Scorrendo l’elenco dei Nati in Trentino 1815-1923 si rileva che le persone che portano il cognome Fronchetti sono 44. Tra queste soltanto quattro risultano battezzate in chiese diverse da quella di Torra (peraltro da genitori originari di quel villaggio): una a Don, un’altra a Mollaro e due a Trento. Si può quindi affermare che tutti i Fronchetti censiti nei registri parrocchiali trentini nell’arco temporale che va dal 1815 al 1923 appartengono alla famiglia di Torra. Dai libri anagrafici della parrocchia risulta che i primi battezzati con questo cognome risalgono al 1702, ma non sono state trovate note riguardanti le origini di questa famiglia, se fosse una casata locale o se fosse giunta da fuori paese.1
Attualmente a Torra di quella famiglia non rimane più nessuno; l’ultimo discendente, Clemente, alienò la casa al civico 4 di Via sant’Eusebio2 per trasferirsi a Trento dove aprì un negozio (forse di vernici, in via Rosmini vicino alla Chiesa di Santa Maria Maggiore3).

1 È interessante notare la rarità di questo cognome in Trentino; il sito specializzato www.cogmomix.it se interrogato sul cognome «Fronchetti» non registra la sua presenza in Italia; si ritiene probabile invece la corruzione del cognome «Franchetti» con il quale ci sono registrate circa 355 famiglie; l’elenco telefonico Pagine Bianche riporta soltanto un paio di abbonati con questo cognome nella provincia di Trento; tre attualmente i proprietari di immobili in Provincia di Trento con questo cognome.
2 Oggi casa Dallaserra che ospita l’agriturismo «La Pieve»;
3 In una nota sui registri anagrafici parrocchiali di Torra si legge a proposito di Clemente: “Negoziante dimorante a Trento”; un testimone classe 1928, ha dichiarato di essersi recato nel negozio di vernici dei Fronchetti a Trento negli anni sessanta;


Venendo al nostro Giovanni, egli nacque il 15 settembre 1863 figlio di Celeste e Candida Asson.

Tavola genealogica Fronchetti di Torra

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La posizione di Garibaldi nello stato di Rio Grande do Sul nel sud del Brasile

La spiccata intelligenza dimostrata dal giovane Giovanni indusse l’allora Parroco di Torra, don Giorgio Daldoss, ad indirizzarlo agli studi teologici presso il Seminario a Trento. Compiuta l’istruzione religiosa, Giovanni ricevette l’ordine sacro il 26 dicembre del 1887. Dopo un periodo vissuto come coadiutore a Volano, vicino a Rovereto, dove lavorò per un paio d’anni, nel 1890 sentì il desiderio di unirsi al resto della sua famiglia che già era emigrata in Brasile nello stato di Rio Grande do Sul. Ciò è dimostrato dal «Registro da entrada dos immigrantes» che in data 23 giugno 1883 annota l’arrivo a Porto Alegre della famiglia di Celeste Fronchetti al completo, ma senza Giovanni studente in Seminario. Fu il padre stesso che ritornò in patria nel 1890 per riprendersi il figlio e portarlo con se in Brasile.

Don Giovanni celebrò la sua prima messa in terra brasiliana nella chiesa di Villa Garibaldi il giorno 7 ottobre 1890 - festa della Madonna del Rosario - e poco tempo dopo fu nominato a reggere la parrocchia di San Lorenzo a Villas Boas dove si diede da fare per costruire la chiesa e la canonica che, per quell’epoca, fu definita “signorile”. Subito, con un gruppo di persone influenti, lavorò intensamente per l’emancipazione e la conseguente trasformazione in comune autonomo di Villa Garibaldi. Con gli stessi compagni decise di intraprendere la costruzione di una scuola che fu gestita dalle Suore di San Giuseppe di Chambéry. Il suo incarico si rivelò molto faticoso, fino a quando, nel 1897, giunse in suo soccorso una comunità di Cappuccini di Savoia i quali offrirono i loro servizi di cura d’anime e sollevarono parzialmente don Giovanni dai suoi adempimenti.

Il suo ministero a Villas Boas durò sei anni durante i quali don Giovanni dovette affrontare molte difficoltà causate dalle agitazioni politiche in atto in quegli anni in Brasile. Alla fine del 1896 lasciò Villas Boas per diventare parroco di Garibaldi, parrocchia che amministrerà fino alla morte.
Tutto parve procedere per il meglio, la provvidenziale collaborazione dei padri cappuccini gli permise di esercitare la sua missione abbastanza agevolmente.

Ma presto, nel 1910, la vita di don Giovanni fu segnata da importanti accadimenti: perse in quell'anno entrambe i genitori ai quali era molto legato ed è facile immaginare il suo sconforto in quelle dolorose circostanze (Nota).
Ma un altro avvenimento porterà non pochi grattacapi al sacerdote di Torra negli anni a seguire e cioè il destino del giornale cattolico “La Libertà” fondato a Caxias un anno prima da padre Carmine Fasulo che, non potendo continuare la pubblicazione in quella città, occorreva salvare insieme alla tipografia da poco acquistata. Alcuni sacerdoti lo pregarono di trasferire il giornale e la tipografia in Garibaldi così da salvare quel mezzo di comunicazione cattolico.
Per la Curia Romana, il governo italiano era uno strumento manovrato da liberali e massoni, atteggiamenti etico-politici da essa condannati. Quindi c'era naturale simpatia verso l’Impero Austroungarico, il cui orientamento politico era più in sintonia con la linea marcatamente conservatrice della Santa Sede. E “La Libertà” era un importante mezzo per difendere il magistero romano. Sulle prime don Giovanni cercò di declinare l’invito, ma le insistenti suppliche finirono per fargli accettare la proposta. Don Giovanni assunse l’incarico dopo che l’anno prima era stato vittima di accese polemiche sollevate dal giornale massone «Stella d'Italia», diretto da Adelchi Colnaghi, che lo aveva accusato di aver allestito un palcoscenico in Garibaldi, in occasione della festa di San Pietro, con bandiere di diversi paesi tranne quella italiana per l'ostilità che nutriva contro quella nazione. Don Giovanni fu accusato addirittura di ultramontanismo. Dalle colonne de «La Libertà» don Giovanni era stato difeso con decisione e anzi nello stesso articolo si erano condannati gli intrighi che Adelchi Colnaghi aveva ordito per seminare la discordia tra italiani e austriaci. Il clima sociale in cui accaderono questi fatti - come detto - vedevano i rapporti burrascosi tra la posizione conservatrice della Chiesa cattolica e dell’Austria e quella liberale adottata dal governo italiano, rapporti che ebbero forti ripercussioni nella regione del Rio Grande do Sul, dando origine a numerosi contrasti tra italiani e austriaci. Tuttavia, come il suo carattere caparbio gl’imponeva, don Giovanni assunse la direzione del notiziario il 15 gennaio 1910 e si dedicò al nuovo mandato senza risparmiarsi.

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Il numero della «Staffetta Riograndese» del 2 marzo 1927 che riporta la notizia della morte di don Giovanni Fronchetti

“La Libertà” sotto la sua guida diventò «Il Colono Italiano» quotidiano che si rivolgeva agli immigrati e ai discendenti italiani e fu edito in Garibaldi, dal 1910 al 1917.
Durante gli anni della grande guerra (1914-1918), quando Italia e Austria erano nemici, il quotidiano si dimostrò apertamente filo-austriaco, provocando l'irritazione di molti italiani delle regioni del Regno d'Italia. Don Giovanni (sebbene di lingua italiana) era cittadino austriaco e ammirava l'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, essendo stato nominato tra l'altro, viceconsole d'Austria e, nel 1911, insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine dell'imperatore, l’onorificenza forse più ambita per un suddito austriaco che si trovava all’estero.
Il “Colono Italiano” pubblicò articoli che screditavano i paesi nemici dell'Austria; descriveva la Francia come un paese ateo che aveva confiscato i beni della Chiesa; rappresentava la Russia, la cui religione ufficiale è quella ortodossa, come persecutrice dei cattolici in Polonia, e ancora delineava l’Italia come paese anticlericale e dominato dalla massoneria che cercava di alimentare sentimenti filofrancesi e anglofili tra gli italiani per costringere l’Italia a dichiarare guerra ai poteri centrali.
In sostanza la netta opinione politica di don Giovanni gli procurò inevitabilmente infinite critiche e questa condizione lo logorò oltremisura. Quando poi il governo brasiliano decise di rompere le relazioni diplomatiche con le potenze dell’Europa centrale, la sua posizione diventò insostenibile.
Seppure in un clima di forte contrapposizione, egli diresse ancora “Il Colono Italiano” nei mesi a seguire e fino al 5 luglio 1917 giorno in cui lasciò la direzione che venne assunta dai Padri Cappuccini i quali cambiarono nuovamente la testata del giornale che diventò “Staffetta Riograndese”.

Con la fine della guerra, a seguito dell’annessione del Trentino all’Italia, gli emigrati trentini e italiani erano sudditi della stessa bandiera e le tensioni si affievolirono. Ma gli strascichi delle lunghe battaglie avevano minato la tempra di don Giovanni che nel 1921 vendette la sua quota del giornale che fu acquisito per intero dai padri Cappuccini. Dopo ben 11 anni di impegno forzato nel suo duplice incarico di parroco e di imprenditore editoriale, per motivi di salute don Giovanni si dimise dal suo giornale e tuttavia continuò a reggere la parrocchia di Garibaldi.
Trascorse gli ultimi anni con riservatezza, alternando periodi di relativa tranquillità a mesi di grandi sofferenze, ma sempre amorevolmente soccorso dalla sorella Celestina e, specie negli ultimi mesi non privo di qualificata assistenza sanitaria (Nota).

Nel commemorare lo storico direttore, il gerente della “Staffetta Riograndese” nel numero del 2 marzo 1927, scrisse:

“Quando il giornale dopo pochi mesi di vita in Caxias, correva il pericolo di scomparire per motivi che non occorre ricordare, Don Giovanni accolse la povera foglia pericolante e con ardore e sacrifizio, si mise a lavorare, a scrivere, a farla conoscere, poco aiutato, alle volte contradetto o combattuto, conoscendo i più amari disgusti e le più penose fatiche di spirito per trovare e redigere, spesse volte solo, la sempre nuova materia”

Don Giovanni Fronchetti da Torra cessò di vivere alle ore 23 del 22 febbraio 1927 dopo 63 anni di “laboriosa e tribolata esistenza”.
La salma rivestita dei paramenti sacerdotali, fu incessantemente venerata con preghiere e rosari fino alle solenni esequie che ebbero inizio alle ore 7 del mattino del 24 febbraio alla presenza di tutti i preti e religiosi della regione di Rio Grande do Sul. Fu sepolto ai piedi della croce al centro del camposanto di Garibaldi.