L'antica tradizione del «Trato Marzo»

Secondo gli antropologi il «Trato Marzo» si ricollega alle feste celebrate nell'antica Roma ai primi giorni di marzo, mese che apriva l'anno romano.
Il «Trato Marzo» era consuetudine fino agli anni '40 del Novecento (con qualche residua ripetizione negli anni '50 e '60) oggi è completamente dimenticata e solo qualche brandello di ricordo affiora nella memoria dei più anziani. Per la sua caratteristica scherzosa ed irrispettosa a volte persino offensiva, nel XVII secolo le varie autorità giudiziarie vietarono questa usanza e tuttavia, malgrado questi divieti, la tradizione resistette fino a scomparire almeno nella Pieve.

A Tuenetto nei primi tre giorni di marzo i giovani si radunavano sul “dos del Plazón” per proclamare i futuri fidanzamenti siano stati essi autentici, possibili o presunti, ma più spesso burleschi. Solitamente i protagonisti della chiassata erano i coscritti, per i quali, il «Trato Marzo» rappresentava una sorta di rito di passaggio dall'adolescenza alla maturità.
La declamazione delle strofette canzonatorie doveva essere udita dagli abitanti del paese a grande distanza e per questa ragione veniva usata come megafono la “lóra” (il grande imbuto per il travaso del vino).
Era anche l’occasione per dire addio al lungo inverno e salutare l’incipiente primavera.

Responsive image

Il Trato Marzo

La cantilena che veniva declamata a gran voce e nella quale erano inseriti di volta in volta i vari candidati morosi, a Tuenetto era la seguente (parole raccolte dalle testimonianze degli vecchi del paese):

Trato marzo su sta tèra
a maridar ca puta bèla...
ma ci èla ci nó èla?
L’è la Ziza la pù bèla…
a cì la dénte a cì nó la dénte?
Gé la dén a chél Bepino,
déntela, déntela che l’è ‘n bèl par!


Confrontando i testi in uso in altri villaggi trentini le parole usate sono sempre le stesse salvo qualche piccola variazione.

Responsive image